L’ospedale Sacro Cuore Don Calabria compie 80 anni. Tanti ne sono passati da quel 1933 in cui il santo fondatore aprì a Negrar un piccolo ospizio per anziani. Aveva all’inizio una trentina di posti, quella casa che fu primo nucleo della «Cittadella della carità» in Valpolicella. Oggi l’ospedale è il quinto del Veneto per numero di ricoveri ed è centro di riferimento nazionale per alcune patologie (ne riferiamo al fianco).
Fratel Mario Bonora, 72 anni, presidente dell’ospedale da ventitre, legge questa trasformazione in chiave evangelica, col «granello di senape» che diventa «albero rigoglioso»: «Don Calabria iniziò dai ragazzi e dagli anziani la sua opera di carità, ma in lui c’era una forte propensione verso gli ammalati».
Nella sua lunga presidenza è sempre stato schivo, seppur con garbo: mai una parola di troppo, massima riservatezza. Per lo storico traguardo dell’ospedale, però, che viene festeggiato domani 12 dicembre, fa un’eccezione e concede al nostro giornale un’intervista in cui si abbandona anche a confidenze sulla sua vocazione e su come passò da economo generale della congregazione dei Poveri Servi della Divina Provvidenza a presidente dell’ospedale.
«Alcune obbedienze mi sono costate, non lo nascondo», dice Fratel Mario, «ma a testa alta posso dire di aver sempre obbedito». Il suo terzo mandato scade nel maggio 2014, quando si eleggerà il nuovo superiore generale dell’Opera Don Calabria: «Farò ciò che mi sarà chiesto di fare», continua. «Se si facesse avanti un giovane, però, volentieri mi metto in disparte. Servono energie e idee nuove».
La crisi delle vocazioni, però, si fa sentire. I Poveri Servi ora operativi a Negrar sono quattro, altri quattro sono cappellani e una dozzina sono anziani o malati. «Sono tranquillo», conclude. Infine, non si smentisce: «Non parli di me. Parli dell’ospedale e di come continuiamo sulla strada che san Calabria ha tracciato, dando importanza sia a un’assistenza medica e umana degna di questo nome sia all’innovazione tecnologica. Ai nostri pazienti vogliamo assicurare il massimo delle cure disponibili».
Infatti domani, alla presenza anche del presidente della Regione Luca Zaia, per la prima volta in visita al Sacro Cuore, sarà inaugurato il terzo acceleratore lineare usato in radioterapia per curare i tumori. È il primo adottato da un ospedale veneto. «Crediamo che l’accompagnamento del malato nel suo percorso di guarigione come persona debba andare di pari passo con quanto offre la tecnologia», continua il presidente.
Così domani mattina fede e scienza, Provvidenza dal cielo e investimenti in terra andranno ancora a braccetto, come nello stile dell’ospedale negrarese, privato di matrice religiosa ma da decenni equiparato al pubblico. Alle 11 il superiore generale dell’Opera calabriana, padre Miguel Tofful, argentino come il papa, celebrerà la messa nella cappella del Sacro Cuore. A mezzogiorno, alla Radioterapia oncologica, impartirà la benedizione inaugurale dell’acceleratore lineare e della Tac, sempre per terapie anti tumorali.
Alla cerimonia sono attesi, oltre a Zaia, l’assessore regionale alla sanità Luca Coletto e sindaci di Negrar e Verona, Giorgio Dal Negro e Flavio Tosi. Sarà presente inoltre il nuovo e giovane direttore della Radioterapia oncologica, il dottor Filippo Alongi, che proviene dall’Istituto Humanitas di Milano.
«L’aggiornamento tecnologico è indispensabile», continua il presidente, «e passo dopo passo stiamo gettando le basi per le cure del futuro». Il processo d’innovazione è in corso, dice Bonora, dagli anni Novanta, da quando cioè «ci furono i primi ridimensionamenti dei posti letto a livello regionale e iniziammo lo sviluppo dell’area socio sanitaria a Casa Nogarè e Casa Perez, per ospiti anziani, malati psichici e altri ospiti».
Secondo lui questa è la terza, cruciale fase nella storia dell’ospedale. Le prime due? «I bombardamenti del 1944 sull’ospedale di Borgo Trento, che di fatto costrinsero ad attivarne uno alternativo a Negrar. E poi la riforma sanitaria degli anni Sessanta, con la legge Mariotti del 1968, che aprì la strada all’equiparazione del nostro ospedale a quelli pubblici».